Le malattie metaboliche ereditarie sono patologie determinate da una mutazione a carico di un enzima o di una molecola particolarmente determinante nel metabolismo di un organismo, con la conseguenza di una carenza o di un accumulo anormale di una particolare sostanza. Il risultato di questi deficit si traduce in sintomi vari che coinvolgono il sistema nervoso, neuromotorio, psicomotorio, il sistema digerente, l’apparato cardiovascolare, il fegato e comunque una serie di disturbi sistemici. Esistono circa 600 malattie metaboliche ereditarie non tutte di facile identificazione, che colpiscono 1 bambino ogni 500 nuovi nati.
Lo screening Lo screening comprende una serie di esami diagnostici, analizzando nei campioni biologici (principalmente urine, plasma e liquor) la presenza o meno di metaboliti e sostanze in eccesso oltre che di altri parametri fuori norma. Questi esami se effettuati alla nascita, entro le prime 48-72 ore, consentono, ove presente, il riscontro di severe patologie, spesso debilitanti ed invalidanti. In particolare lo screening metabolico allargato in età neonatale, permette di salvare molti bambini dalla comparsa di sintomi precoci (malattie ad esordio neonatale) piuttosto che da difficoltà e ritardi nell’accrescimento (forme tardive). Tuttavia la Legge italiana prevede che siano obbligatori solo alcuni test ossia quello per diagnosticare la fenilchetonuria (dovuta ad un deficit dell’enzima fenilalanina idrossilasi), l’ipotiroidismo congenito (causato da un deficit della produzione di ormoni tiroidei) e la fibrosi cistica (malattia genetica che causa anche carenza di amminoacidi). Soltanto la Regione Toscana dal 2004 ha reso obbligatorio lo screening metabolico allargato per oltre 40 patologie metaboliche ereditarie, a questo progetto si è appoggiata la Regione Umbria; inoltre sono partiti progetti pilota in Emilia Romagna, in Veneto e nel Lazio ma si è ancora lontani dall’avere una legge vera e propria che regolamenti la situazione.
Il problema dello screening
Il problema è piuttosto serio, poiché nonostante si parli di patologie rare, nell’insieme esse raggiungono un numero elevato (circa 600), con diverse varianti e la loro incidenza non è poi bassissima. Le difficoltà di diagnosi si presentano soprattutto quando sopraggiungono i primi sintomi, ad esempio problemi motori, ritardo nella crescita, difficoltà gastrointestinali, che spesso non tradiscono una causa metabolica, in particolare se si tratta di forme molto rare. Pertanto la difficoltà si ritrova nelle lungaggini delle procedure diagnostiche, nell’assenza di centri diffusi su tutto il territorio, specializzati in malattie metaboliche ereditarie e in un dispendio economico per le famiglie, che non vedono riconosciute le spese inerenti agli esami ed alle terapie.
Patologie e terapie Le malattie metaboliche ereditarie, vengono solitamente ereditate in maniera recessiva (autosomica o legata al cromosoma X), da genitori portatori del gene mutato. Non per tutte le patologie metaboliche è possibile somministrare una terapia adeguata, in parte per la gravità e in parte per l’inadeguatezza della ricerca che ove può, riesce ad individuare una strategia terapeutica mirata. Lo screening deve procedere di pari passo con la ricerca clinica, per fare in modo che pian piano le patologie definite ‘orfane’, cioè senza una denominazione specifica perché dalla causa incerta e quindi senza cura, abbiano una progressiva risoluzione. Purtroppo il fattore economico è di gran lunga rilevante poiché dedicarsi alla ricerca ed allo studio di terapie particolari, richiede molti fondi ma ha scarso interesse farmaceutico e questo è un ostacolo davvero grande per la riuscita di una cooperazione tra più centri specializzati in malattie metaboliche.
Tra le diverse patologie conosciute per rendere più chiara la situazione attuale, in merito a questo tema, è utile analizzare ad esempio una malattia come la galattosemia, che non è da confondersi con l'intolleranza al lattosio, ma è dovuta all’incapacità di metabolizzare il galattosio; causa di 3 possibili mutazioni a livello enzimatico, questo deficit se non diagnosticato può risultare mortale. Infatti l’incapacità di trasformare il galattosio in glucosio determina la comparsa di cirrosi, deficit neurologici, epatosplenomegalia, aciduria. La diagnosi prenatale consente di individuare, prima della nascita, la presenza o meno di questo deficit, pertanto la mamma nel caso dovrà evitare di assumere alimenti contenenti lattosio e galattosio, mentre nel caso venga diagnosticato al nascituro, la dieta dovrà escludere alimenti a base di lattosio, di galattosio ed i fermenti lattici. Ad oggi sembra che la dieta sia l’unico mezzo insieme ad una diagnosi precoce per minimizzare gli effetti della malattia.
Un caso diametralmente opposto è rappresentato dalla Sindrome di San Filippo o mucopolisaccaridosi di tipo III (MPS III), una patologia dovuta ad errata sintesi ed accumulo di mucopolisaccaridi. Esistono 4 forme di MPS, ma la Sindrome di San Filippo è una variante piuttosto grave, diagnosticabile attraverso la coltura cellulare di fibroblasti ed anche con una biopsia del tessuto. Questa sindrome può esordire intorno ai 2-3 anni con ritardo mentale, disturbi comportamentali con atteggiamenti aggressivi ed autolesionisti, mentre l’esordio più tardivo avviene intorno ai 10 anni, con difficoltà motorie, disturbi nel linguaggio, oltre a segni evidenti, quali ingrossamento delle guance per l’accumulo di grasso, malformazioni scheletriche e spinali e dolori diffusi. La terapia farmacologica in questo caso non esiste, esistono dei tentativi sperimentali di approccio chirurgico per intervenire sulle malformazioni morfologiche, mentre è in corso il tentativo di approcciarsi ad una terapia genica per minimizzare gli effetti sul metabolismo.
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